QUESTO E’ UN UOMO: PRIMO LEVI.
“Devo dire che l’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo”. (Primo Levi)
Scrittore piemontese, nasce a Torino il 31 luglio 1919 da una famiglia di religione ebraica; diplomato al Liceo, prosegue gli studi all’università ma le leggi razziali del 1938 lo discriminano nella frequenza ed ha notevoli difficoltà a trovare un relatore per la sua tesi. Si laurea con lode in Fisica nel ’41 e sulla pergamena di laurea campeggia l’orrenda precisazione “di razza ebraica”.
Lavora a Milano come chimico e nel ’43 viene arrestato prima dai fascisti che lo conducono al campo di Fossoli, poi dai tedeschi che lo deportano ad Auschwitz. Colpa? Quella “infamante” di appartenere ad un’altra religione. E’ ormai il febbraio del 1944, Primo Levi si rende conto dell’inesorabile prima e dopo che segnerà tutto il resto della sua vita. Così scrive in un brano di “Se questo è un uomo” circa la selezione che avveniva nei campi di sterminio : “In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente”.
La realtà andava ben oltre il possibile immaginabile: tutti venivano rasati, disinfettati, vestiti di un pigiama a righe e marchiati con un numero; bisogna apprezzare il “lusso” di possedere un paio di scarpe o un cucchiaio perché essere scalzi equivale a morte pressoché immediata; chi è abile al lavoro va avanti fino all’estenuazione, chi non lo è viene soppresso subito. Viene ben spiegato da Levi nel Capitolo I sommersi e i salvati (Op. cit.)
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi si salva fortunosamente da quella barbarie, lo descrive mirabilmente ne La Tregua, ma non riuscirà mai ad accettare una sorta di vittoria che ha penalizzato tanti; prima di suicidarsi (11 aprile 1987) scrive “NON DIMENTICATE”, imperativo che nulla ha a che vedere con le proprie vicende ma che vuole perpetuare il ricordo delle atrocità subite da milioni e milioni di ebrei.
Preziosa Salvi