LA MELA NON CADE SEMPRE VICINO ALL’ALBERO.
L’EXTRA-ORDINARIA FAMIGLIA LEVI MONTALCINI.
Che la mela non cada mai troppo lontano dall’albero, lo si sente dire spesso; ma non sempre, forse, diamo a questa affermazione una collocazione nel contesto reale. Per questo motivo, a pochi giorni dalla scomparsa del premio Nobel Rita Levi Montalcini, vogliamo gettare uno sguardo allargato alla sua famiglia, per scoprire se una tale personalità ha radici più profonde e lontane o se si tratta semplicemente di un miracolo della genetica.
La famiglia della grande scienziata si compone di sei membri. Il padre, Adamo Levi fu un ingegnere elettrotecnico e un matematico che sposò la pittrice Adele Montalcini. I due, ebrei sefarditi, ebbero quattro figli, nell’ordine: Luigi (detto Gino), Anna (detta Nina) e due gemelle Rita e Paola.
La famiglia risiede stabilmente a Torino a inizio Novecento, e lì tornerà una volta finita la guerra e le persecuzioni razziali che la caratterizzarono.
I due genitori furono certamente un faro per il futuro dei figli, di grande ispirazione per gli interessi coltivati e per l’incredibile cultura che entrambi potevano vantare, furono molto ammirati e affettuosamente ricordati dai figli, i quali, ognuno in un capo differente del sapere, svilupparono le proprie passioni portandole a livelli elevatissimi. Ad eccezione di Anna, i tre fratelli Gino, Paola e Rita ebbero importanti riconoscimenti accademici e sociali per il proprio operato.
L’eccezione, incarnata dalla sorella maggiore, poi tanto eccezionale non è. Seppure uomo di grande cultura, il padre Adamo aveva una mentalità antica, che vedeva la donna costretta in un certo preciso ruolo, quello domestico di moglie e madre. Fu così che Anna, maggiore delle femmine, abbandonò ogni propensione umanistica (Rita la ricordava come estremamente portata per la letteratura) per sposarsi e dedicarsi amorosamente e devotamente alla famiglia.
Il fratello Gino, unico maschio, fu incoraggiato a studiare. A Torino completa gli studi al Liceo Classico Massimo D’Azeglio e parallelamente segue corsi privati di disegno e scultura arrivando poi a laurearsi nel 1925 presso la Regia Scuola di Ingegneria di Torino. Tra gli anni venti e trenta frequenta una vasta cerchia di intellettuali e artisti tra cui pittori, architetti e critici d’arte del calibro di Giuseppe Pagano, Felice Casorati, Domenico Morelli e Carlo Mollino. Sarà in particolare l’incontro con Giuseppe Pagano, suo compagno di studi, a segnare l’inizio della sua carriera da architetto collocandosi in questo modo tra i più rappresentativi esponenti del movimento razionalista in Italia.
Sfollato a Firenze dal 1943 al 1945, sfuggendo così alle persecuzioni razziali, torna a Torino nel 1946 inserendosi nel Gruppo Giuseppe Pagano e nell’APAO per mettere voce alla discussione che impegnò tutti gli architetti sui temi della ricostruzione e dei compiti dell’architettura. Impegnato nell’insegnamento universitario, trova comunque modo di collaborare con alcuni colleghi alla realizzazione del progetto per il nuovo Palazzo dell’Università di Torino e il tempo per dedicarsi alla sua vocazione di scultore, caricaturista e ritrattista.
Sempre attento alla carriera universitaria, Gino fu Presidente del Consiglio dell’Ordine degli architetti della Provincia di Torino nel biennio 1969-70 e nel 1969 venne nominato membro dell’Accademia nazionale di San Luca.
La sorella Paola, sempre ricordata come la gemella della famosa Rita, non fu una figura del tutto ininfluente. Al contrario. Si dedicò con passione alla pittura attraversando il Novecento con uno spirito di ricerca espressiva con pochi eguali, grande sperimentatrice nel campo dell’arte visiva fu perennemente in bilico tra razionalismo e simbolismo intellettuale.
Fantasiosa e visionaria, si formò a Torino, circondata di committenti (come il famoso collezionista Marino) e di architetti, tra cui il già citato Giuseppe Pagano.
Quelli della guerra sono certamente anni difficili, ma una volta finita Paola si lega al gruppo torinese guidato da Albino Galvano, movimento parallelo al milanese MAC (Movimento per l’Arte Concreta) di cui facevano parte Gillo Dorfles, Monari, Soldati e Monnè; qui la pittrice approda ad un astrattismo apparente, ma non assunto come dato aprioristico come era stato negli anni bellici.
Dopo la morte della madre, Paola si trasferisce a Roma dove inaugura una fase di sperimentazioni fotografiche volte al superamento del soggettivismo del segno. Risalgono a questo periodo i primi collage di fotografie montate su tela. Fu un’artista sempre attenta ai nuovi utilizzi dei materiali e il continuo aggiornamento del suo stile la portò a sfruttare anche la computer grafica fin dai primi anni della sua nascita. Parte delle opere dell’eterna “altra” gemella Levi Montalcini sono oggi esposte alla Galleria Nazionale di Arte moderna di Roma.
Ecco dunque dimostrato come non sia del tutto casuale l’emergere di figure talentuose e impareggiabili. Tutto questo è possibile grazie ad un adeguato contesto famigliare e socio-culturale, oltre che naturalmente alle doti personali, alla motivazione, all’impegno e allo spirito di sacrificio, elementi caratterizzanti tutti i membri della spettacolare famiglia Levi Montalcini.
Sicuri che la vena eccezionale di questa storica famiglia non si sia estinta con l’ultima discendente, la straordinaria Rita, restiamo in attesa delle nuove generazioni, sperando che siano per lo meno al pari dei loro avi, nonostante, lo sappiamo, si tratti di un arduo compito.
Daisy Viviani